di FinanzaWorld staff

C'era una cinese in koma, un dragone-formica e una cicala

del 31/03/2007 di FinanzaWorld staff

Attualmente il reddito/Pil mondiale è così suddiviso:
23% USA, 23% Unione Europea, 26% Asia, 28% Altri Paesi.
Facendo una proiezione dei tassi di crescita dell'ultimo quinquennio,  
tra una ventina d’anni la suddivisione sarà la seguente:
50%  Asia, 15% USA, 12% Unione Europea, 23% altri Paesi.

 

La Cina nel corso di questi ultimi anni è
cresciuta notevolmente e ha accumulato enormi riserve valutarie,
grazie alla forza dirompente delle proprie esportazioni.
Nel 2006 l’ avanzo commerciale cinese nei confronti degli USA
ammontava a 232 miliardi di dollari,
equivalenti circa a due punti di PIL statunitense.
Nel complesso, la Cina ha accumulato riserve in valuta
statunitense per un trilione di dollari
(1.000 miliardi di $ equivalenti all’ 8,5% del Pil USA).

 

Un surplus commerciale così duraturo e consistente
è stato dovuto principalmente a due cause.
Una economica: un costo del lavoro circa 15 volte
più basso di quello dei paesi occidentali.
Una finanziaria: una forte sottovalutazione della moneta cinese:
dello yuan o renminbi, che dir si voglia.

 

Il costo del lavoro è legato a quanta parte della ricchezza generata
in  Cina viene poi distribuita nella popolazione
sotto forma di stipendi, sussidi e incentivi.

Il valore dello yuan, teoricamente, dovrebbe esser legato alla
politica monetaria della Banca Centrale cinese e alle leggi del mercato.

 

In ambito economico, quando il reddito di una nazione aumenta,
se la popolazione rimane più o meno invariata,
aumenta anche il reddito pro capite.
Di conseguenza ogni cittadino incrementa la sua domanda di beni,
di consumo e d’investimento, e quindi il loro prezzo tende ad aumentare.
Il progressivo aumento dei prezzi assottiglia via via la maggior convenienza
dei beni cinesi rispetto a quelli dei paesi occidentali.

In ambito finanziario la forte domanda di beni cinesi
da parte degli stranieri, si tramuta in una forte domanda di yuan,
necessari per fare acquisti in Cina.
Più il mercato richiede yuan, più questo dovrebbe aumentare di prezzo,
insomma dovrebbe apprezzarsi.
Anche sotto questo aspetto, il progressivo apprezzamento dello yuan
sarebbe coinciso nell’aumento di prezzo dei beni cinesi,
rendendoli via via meno competitivi rispetto a quelli occidentali.

 

Entrambi questi processi in un arco di tempo mediamente lungo,
avrebbero dovuto portare un aumento dei prezzi e del valore dello yuan,
con una conseguente diminuzione del surplus commerciale della Cina,
nei confronti dei paesi occidentali.

 

Ma così non è stato, i prezzi dei beni cinesi sono rimasti molto bassi
e lo yuan si è apprezzato pochissimo, di conseguenza il surplus commerciale
cinese invece di diminuire è cresciuto ed è rimasto imponente.

 

Le autorità cinesi hanno inibito
la crescita dei prezzi e dello yuan agendo su due leve.


 

Guardando la politica economica cinese, si nota che
gli enormi surplus commerciali, si sono tradotti solo per una
piccola parte nell’ aumento dei redditi e dei consumi dei cittadini cinesi.
Buona parte di queste risorse sono state impiegate nell’acquisto
dei titoli del debito pubblico americano,
finanziando la spesa pubblica e la crescita economica degli Usa.
Quindi, solo una piccola parte della ricchezza generata in Cina
si è tradotta in migliori stipendi, sussidi, incentivi.
La Cina, attualmente, detiene circa il 20% del debito pubblico americano.
Se si proiettassero le attuali tendenze un po’ avanti nel tempo,
la Cina arriverebbe in pochi anni a possedere il 50% del debito pubblico statunitense.
A quel punto la Cina-formica avrebbe messo un bel cappio al collo
all’America-cicala e potrebbe stringerlo o allentarlo  a suo piacimento...

 

Osservando la politica monetaria si nota  che questa è consistita
nell’ancoraggio del tasso di cambio dello yuan a quello del dollaro.
Si è legato con un laccio lo yuan al dollaro e a ogni movimento di quest’ultimo,
corrispondeva automaticamente un egual movimento della valuta cinese.
In questo modo la People’s Bank of China è rimasta sostanzialmente in koma,
non ha fatto politica monetaria per molti anni,
lo yuan si muoveva parallelamente al dollaro.
In Cina la politica monetaria, praticamente, la faceva la Fed.
Quando il dollaro si apprezzava lo yuan faceva lo stesso,
quando la divisa statunitense di deprezzava la valuta cinese la seguiva di pari passo.

 

Questi fattori hanno contribuito molto alle anomalie
dei tassi di cambio che perdurano ancor oggi:
gli USA sono cresciuti e il dollaro si è svalutato,
l’Asia è cresciuta ancor di più e lo yuan si è svalutato insieme al dollaro,
l’Unione Europea ha avuto una crescita stentata e l’euro si è apprezzato.
Come accennato poc’anzi, in genere, alla crescita corrisponde
un graduale apprezzamento della moneta e viceversa.
In questi ultimi anni le regole del gioco sono state falsate
e c’è stata quasi un’inversione di questo meccanismo.

 

La sinergia tra la politica economica volta a inibire la crescita interna e
l’assenza di una politica monetaria in Cina hanno fatto sì che
i prodotti cinesi avessero non uno, ma due jolly alle loro spalle,
in grado di renderli imbattibili per quanto riguardava la concorrenza di prezzo.


 

Ma ultimamente la People’s Bank of China sembra essersi risvegliata dal koma.
Già nel 2005 ha rivalutato lo yuan del 2,1%, sganciandolo dal peg col dollaro,
inoltre ha ampliato la sua banda d’oscillazione e così,
complessivamente, lo yuan si è rivalutato di quasi il 7%.
Tuttavia siamo ancora lontani dalla rivalutazione di circa il 40%
stimata necessaria per un atterraggio morbido per l’economia mondiale.

 

Il mese scorso il Segretario al Tesoro USA Henry Paulson,
in visita in Asia,  non a caso ha chiesto alla Cina di aprire di più
i propri mercati finanziari e commerciali e
di rendere più flessibile il tasso di cambio del renminbi.
Questa è una soluzione che contribuirebbe a diminuire gli squilibri globali
e non sarebbe nemmeno molto costosa
per l’economia cinese se attuata con riforme interne incisive.

 

Tre settimane fa il Primo Ministro cinese Wen Jiabao
ha chiuso l’Assemblea nazionale del Popolo,
che una volta all’anno si riunisce e ratifica quanto deciso in precedenza dal governo. 
Le novità introdotte avranno certamente dei riflessi sia
nell’economia cinese che in quella dei paesi occidentali.

 

Da quanto accennato in precedenza è chiaro che
la crescita cinese è corsa su un sentiero anomalo.
Il reddito di una nazione (Pil), come il reddito di ciascuno di noi,
è equivalente, in linea semplificata, alla somma di due componenti:
ciò che si consuma e ciò che si risparmia (o investe).
E’ possibile poi aggiungere altre due componenti a quelle citate:
ciò che si dà e ciò che si riceve da altri;
nel caso di una nazione si parla di esportazioni e importazioni.
Osservando queste componenti gli squilibri paiono notevoli.
Investimenti ed esportazioni sono state decisamente sproporzionate
alle altre due componenti, consumi ed importazioni.

 

L’eccesso di investimenti ha fatto correre il credito bancario,
con conseguenti rischi per tutto il sistema finanziario.
L’eccesso di esportazioni ha generato così tante riserve valutarie che
una loro inadeguata gestione creerebbe un terremoto finanziario a livello mondiale.
Bassi livelli di consumo e di importazioni si sono tradotti
in standard di vita ancora molto bassi per buona parte della popolazione
e quindi, in un mercato interno piuttosto debole. Infatti, la popolazione contadina,
circa 800 milioni di persone, con un reddito medio annuo
di 3.587 yuan ($463) è ancora lontana dal livello di benessere
che si sta raggiungendo nelle grandi città costiere e non costituisce
un mercato interno di sbocco per buona parte dei prodotti nazionali.
Nel loro complesso l’interazione di queste componenti rende la Cina
molto dipendente dal ciclo economico internazionale.

 

Le autorità cinesi, consapevoli che una crescita così
impostata non potesse perdurare a lungo, già a partire
dall’anno scorso hanno adottato delle misure per irrobustire
il mercato interno sia per quanto concerne i capitali che i consumi.
Quest’ anno si è proceduto nelle stesse direzioni in maniera molto incisiva.

 

E’ stato sancito il diritto di proprietà e la sua ereditarietà
a partire dalle imprese private e mezzi di produzione ai beni immobiliari,
dai titoli azionari a quelli a reddito fisso con relativi dividendi e rendite.
Già oggi il 65% del Pil ed il 70% delle entrate tributarie deriva dal
settore non statale dell’economia, incluse le imprese a capitale straniero.
L’introduzione del diritto di proprietà incentiverà ancor di più
l’iniziativa privata e favorirà anche una partecipazione
più diffusa e meno instabile al sistema finanziario.

 

Altro cambiamento importante è quello introdotto sul fisco.
Precedentemente le imposte alle imprese straniere erano al 15%
e per le nazionali al 33%, con le nuove norme il livello è stato parificato al 25%.
A quanto pare la Cina non deve più incentivare le aziende straniere
a operare investimenti sul proprio territorio, oramai lo sviluppo sostenuto
che è in essere, è già di per sé la miglior attrattiva
per gli investimenti diretti di società estere.
L’abbassamento delle tasse per le imprese nazionali
è un ulteriore forte segnale all’iniziativa privata.

 

Sono stati significativi anche gli interventi sul Welfare.
In bilancio sono stati previsti aumenti del 42% per la formazione,
dell’ 87% per la sanità, del 15% per le aree rurali e del 14% per la previdenza sociale.

 

Ulteriori passi in avanti sono stati fatti sul fronte del risparmio energetico,
dello sviluppo eco-compatibile e
sulla corruzione dilagante in alcuni rami dell’amministrazione.

 

In ambito finanziario è stato annunciato,
come era stato già anticipato nel corso del 2006,
che verrà costituita una holding con l’incarico di gestire e diversificare
la montagna di riserve valutarie del paese, ma ciò, ha assicurato Wen Jiabao,
non comporterà l’abbandono delle riserve in dollari,
né l’affondamento della divisa statunitense.

 

A chiusura dell’Assemblea nazionale del Popolo è stata annunciata,
come da tradizione, una crescita del Pil dell’8%, dato
sistematicamente smentito dalla sbalorditiva crescita anche
a due cifre a cui si è assistito negli ultimi anni.

 

Secondo una parte dei governanti, la quantità ottimale di riserve
dovrebbe essere tenuta a 600 miliardi di dollari, secondo altri a 700 miliardi.
Quindi buona parte delle risorse eccedenti, si riverseranno
all’interno dell’economia cinese,
con un conseguente incremento dei consumi e delle importazioni.
Quest’ azione renderà più efficaci gli interventi realizzati nel corso del 2006,
che stanno dando già i loro frutti nell’economia reale.

 

Da dati recenti risulta che le vendite dei dettaglianti
nei primi due mesi dell’anno sono aumentate del 14,7%.
Confrontate al primo bimestre dell’anno scorso le spese
per il tempo libero e ricreazione sono aumentate del 17%,
di carne e uova del 32%, di mobili del 40%,
di gioielli del 39% e  di auto del 48%.

 

A conferma della forte richiesta di beni di consumo,
l’indice dei prezzi al consumo di febbraio ha avuto un aumento del 2,7%.

 

In particolare, l’incremento del paniere di rilevazione
è stato dovuto al rincaro dei generi alimentari,
che rappresentano un terzo dell'indice dei prezzi al consumo.
I prezzi dei generi alimentari hanno visto un incremento del 6%,
guidati dall’impennata dei prezzi all’ingrosso
del grano saliti del 9%, rispetto all’anno precedente.
I prezzi relativi all’ abbigliamento e ai beni durevoli evidenziano
il primo rialzo degli ultimi dieci anni.
Togliendo la voce connessa ai generi alimentari,
il tasso annuo d’inflazione è stabile al punto percentuale.
La People’s Bank of China, reputa che l’inflazione è sotto controllo 
e che nel corso dell’anno rimarrà al di sotto del 3%.

 

Questi numeri mostrano un’economia in rapida espansione,
nella quale il cittadino medio ha un potere d’acquisto
che meno di una generazione fa appariva impensabile.
I cinesi stanno migliorando i propri standard di vita attraverso
una forte dinamica delle spese, dovuta all’aumento del reddito
e alle misure governative volte a stimolare i consumi.
L’aumento dei prezzi e delle quantità richieste di beni di prima necessità
(alimenti, vestiario, mobili connessi all’acquisto di case)
evidenzia che il benessere si sta diffondendo su una parte
consistente della popolazione. D’altro canto, l’incremento della domanda di beni
che possono considerarsi di lusso, quali auto e gioielli,
indica il consolidamento e lo sviluppo di una classe media
con un potere d’acquisto sempre più tendente a quello occidentale.
Queste tendenze, con l’introduzione delle nuove norme,
accelereranno progressivamente nel corso dei prossimi anni.

 

A fronte di questo aumento dei consumi permane il costante
incremento della produzione industriale, che nel primo bimestre
dell’anno è salita del 18,5% e delle esportazioni, salite del 50%.
Gli investimenti fissi, sempre nello stesso periodo, hanno leggermente rallentato
la loro corsa, con un’espansione del 23,4%, inferiore al 24,5% del 2006.
Questo è un piccolo primo accenno, dello spostamento degli impieghi personali e nazionali, dal risparmio-investimento ai consumi.
Il dragone-formica sta divenendo un dragone un  po’ più cicala e
di ciò ne beneficerà consistentemente l’economia mondiale
nell’anno in corso e in quelli a venire.

 

La scelta della Cina di destinare più risorse al proprio interno,
piuttosto che tramutarle in dollari per l’acquisto del debito pubblico americano,
avrà notevoli ripercussioni sulle economie occidentali.
Il miglioramento degli standard di vita interni e l’aumento più diffuso dei consumi,
unitamente ad una fluttuazione più ampia dello yuan,
porterà ad un significativo apprezzamento della valuta nazionale.
Di conseguenza l’artificiosa sottovalutazione del renminbi
nel tempo verrà via via meno, con conseguente diminuzione
delle esportazioni e aumento delle importazioni di prodotti dei paesi occidentali.
Tutto ciò agevolerà molto il soft-landing dell’economia mondiale.


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