di FinanzaWorld staff

Check-up USA

del 24/03/2007 di FinanzaWorld staff

Uno dei giochi di società più amati della storia: il Monopoli.
Chi non ci ha mai giocato? Si potevano comprare terreni,
edificare case ed alberghi e quindi prosperare felicemente,
a meno che con i dadi non si facevano due o tre tiri
sfortunati di seguito, allora erano dolori.
C’erano anche le carte degli imprevisti,
che alle volte riservavano legnate epiche.
La cosa divertente è che era raro finire in rovina
in solitudine.In genere poco dopo la propria
bancarotta,si assisteva a quella di un amico,
spesso proprio quello che ci aveva eliminato,
perché non eravamo riusciti a pagarlo, essendo rimasti al verde...
La ruota della sfortuna girava e ora era lui che,
indebolito anche dalla nostra insolvenza,
si trovava senza un soldo, un vero effetto domino.

Negli USA c’è un problema chiamato mutui subprime.
Le  società che offrono questi mutui e finanziamenti
per  la casa operano in un mercato ad alto rischio,
avendo come controparte clienti meno sicuri rispetto
alla media, che hanno già un curriculum da cattivi pagatori.
Queste società a fronte del maggior rischio che corrono
vogliono un maggior rendimento. Ciò spesso si traduce in rate
molto  pesanti  e condizioni vessatorie per i mutuatari,
che già in origine non si presentavano certo bene.

Comunque, una volta concessi i mutui le società
erogatrici li girano a società finanziarie e altre
banche che li trasformano ed impacchettano in titoli.
Goldman Sachs, Merrill-Lynch, e Morgan Stanley
sono le principali banche che rastrellano i mutui
sub-prime e li impacchettano per emettere titoli.
 
In mezzo a tutto questo entrano anche gli Hedge Funds,
alcuni di proprietà delle stesse banche, che essendo
affamati di rendimenti sopra la media, operano
su prodotti a maggior rischio e acquistano e vendono
i pacchetti confezionati dalle finanziarie e dalle banche.
Per esser più precisi non solo li acquistano e vendono,
ma ci scommettono sopra attraverso strumenti finanziari
che alle volte consentono loro di  impiegare più
di quanto dispongano realmente.
 
Ci sono delle banche che non forniscono credito
ai cattivi pagatori, questi si rivolgono alle società
erogatrici di mutui subprime che a loro volta
li girano ad altre società che tramutano i debiti
in titoli, poi acquistati da operatori ignari o
dagli Hedge Funds con effetti moltiplicativi.
 
Il meccanismo funziona bene quando i prezzi delle case
aumentano e di conseguenza danno al mutuatario col
cattivo curriculum un rendimento quantomeno potenziale,
che di fatto migliora, almeno teoricamente, la sua capacità di pagamento.
Se i prezzi delle case scendono e i tassi d’interesse aumentano,
le società finanziarie erogatrici di mutui subprime vedono,
da una parte diminuire le possibilità di venir pagate e
dall’altra l’aumento certo del costo al quale acquistano
il denaro per finanziarsi. Questo le porta a diventare
meno pazienti con i cattivi pagatori le cui credenziali
diminuiscono parallelamente alla discesa del valore dei loro immobili.
Ma i cattivi pagatori non si chiamano così per caso...

Questi non pagando le rate del mutuo sono i primi ad uscire dal gioco,
poi l’effetto domino ha buttato fuori le società
erogatrici di mutui subprime (da novembre 2006 sono
23 gli istituti del settore subprime che sono andati a picco).
Dalle società erogatrici di mutui subprime l'illiquidità e
l'insolvenza potrebbe dilagare nei fondi e nel sistema creditizio.

Il paradosso è che le banche che non volevano
erogare il credito ai cattivi pagatori, visto che la
"ruota della sfortuna" gira, rischiano di veder rientrare
dalla finestra quello che avevano fatto uscire dalla porta.

L'illiquidità e l'insolvenza di alcuni settori,
se c'è una forte integrazione tra gli operatori finanziari ed
economici e c'è ampia diffusione di debiti e strumenti derivati,
può tramutarsi in tante esplosioni a catena, un effetto domino.
La frase :La cosa "divertente" è che era raro finire
in rovina in solitudine, ora suona un po’ meno divertente.

Infatti, qualsiasi sistema economico per girare bene,
come un motore che ha bisogno dell’olio per far
girare gli ingranaggi, necessita della giusta liquidità,
per non creare attriti e bloccaggi.
Se l’olio è troppo c’è inflazione,
se troppo poco c'è deflazione e recessione.
Anche un motore potente e robusto come l’economia
americana entra in stallo se ha fuoriuscite di olio.
 
Un’economia in buona salute non basta a scongiurare una recessione,
occorre anche un  sistema finanziario sano, che faccia sì che l’olio
si distribuisca nei pistoni e cilindri e li faccia lavorare a dovere.
Se nel motore si crea un buco, leggasi debiti inesigibili
diffusi dall'effeto domino, l’olio esce e va perso.

Nel 2006 il mercato ipotecario USA 
valeva 10 mila miliardi di dollari
e i mutui subprime rappresentavano il 13,5%
del volume totale dei mutui, dunque una cifra
complessiva superiore a 1,3 mila miliardi...
...di olio che defluisce?

La prima cosa che c’era da fare era tappare
il buco da cui fuoriusciva l'olio.
E questo è stato fatto: i subprime hanno tagliato l’erogazione di
prestiti ai cattivi pagatori, che stanno diventando
sempre più cattivi secondo le ultime statistiche.

Poi bisogna provvedere a rimpinguare l’olio dove serve,
in modo tale che il bloccaggio di
un pistone non si tramuti in un blocco del motore.

Un pò d'olio ce l’hanno le grosse banche, anch’esse detentrici
di  Hedge Funds e fondi, e una bella tanica ce l’ha Bernanke.

Picchettando le travi del sistema
finanziario USA, con salvataggi
e prestiti ad hoc, ci sono
buone possibilità che la situazione si stabilizzi
e che non si arrivi a stati
di illiquidità e insolvenza diffusi.

Finchè le grosse banche avranno la volontà e
la possibilità di spargere un po’ d’olio
dove serve, il motore non si ferma.
La volontà: senza dubbio c’è, l’effetto domino
fa cadere anche grandi istituzioni dalla
gestione oculata e sana, cosa che non vuole nessuno.
La possibilità: i dati trimestrali sulle banche d’affari
usciti finora sono positivi.

I risultati comunicati da Goldman Sachs Group Inc.,
la più grande casa di investimento di Wall Street,
hanno mostrato un aumento dei profitti
nel primo trimestre del 29 %.
Bear Stearns, numero uno a Wall Street nel settore
delle emissioni garantite da mutui, ha archiviato
il primo trimestre con un +8% degli utili.
Lehman Brothers, la quarta banca di investimento Usa,
per valore di mercato, ha comunicato che
l'utile netto è aumentato del 5%.
Morgan & Stanley ha comunicato in settimana i
risultati che mostrano un incremento degli
utili del 69%.
Per tutte le banche  i ricavi derivanti
dai mutui residenziali sono in calo, riflettendo
la debolezza del mercato, tuttavia mostrano di
possedere ancora notevole potere finanziario
e stanno continuando a crescere.

Le banche d’affari stanno aiutando le società e i fondi
impantanatisi nel mercato dell'edilizia
e dei mutui subprime.
Nei  giorni scorsi, inoltre, il Cfo di Bearn Stearns
ha previsto importanti operazioni
di M&A nel settore subprime.

Questi sono tutti interventi nella giusta direzione, ma
devono essere ben dosati.

Le istituzioni finanziarie devono essere sì più
caute nella concessione di mutui, ma offrire anche
condizioni meno vessatorie.
Mettere un tappo al buco del motore, ma non indebolire
ulteriormente la domanda a fronte di un’offerta che viene
alimentata dai numerosi sfratti.
La conseguente discesa dei prezzi degli immobili,
aumenterebbe le difficoltà di gestione complessiva.

 

Una crisi finanziaria può tramutarsi in una crisi
economica e viceversa, non esistono compartimenti stagni.

Appurato che in ambito finanziario i problemi
hanno discrete prospettive di soluzione,
ora è opportuno dare un'occhiata al sistema economico.

 

A febbraio, il tasso di disoccupazione negli USA
è sceso al 4,5% dal 4,6% di gennaio.

Secondo le statistiche pubblicate dal Dipartimento del Lavoro,
l'aumento degli occupati nei servizi ha più che compensato il calo
registrato nelle costruzioni e nella manifattura, a conferma
che l’economia USA non è solo auto, aeronautica ed edilizia.
Il mese scorso il settore delle costruzioni ha perso
62.000 posti di lavoro, la perdita maggiore dal 1991.
La manifattura ha visto un decremento di 14.000 unità,
in particolare nell’indotto dell’immobiliare e nel settore auto.
I servizi hanno segnato, invece, un aumento di 168.000 unità.
Nonostante l’aumento registrato sia il più basso da gennaio 2005,
i dati forniscono una visione fondamentalmente buona dell’occupazione.
 
La produzione industriale in febbraio è salita
di un punto percentuale, battendo le attese più
pessimiste generate dalla flessione del 7,8%
dei nuovi ordini commissionati all'industria.
Le scorte all’ingrosso a gennaio sono
salite dello 0,7%, oltre le attese.
Il salto negli inventari all'ingrosso
indica un calo della domanda.
Segnale negativo per l’economia,
si produce per riempire i magazzini?

L’aumento delle scorte all’ingrosso, non deve impensierire.
Giova ricordare che, in un’economia avanzata,
il peso dei servizi è notevole.
Infatti, il Pil statunitense deriva per il 2% dall’agricoltura,
per il 24% dall’industria e per il 74% dai servizi.
 
I beni materiali si accumulano in scorte, che derivano
per buona parte da un quarto dell’economia a stelle e
strisce (agricoltura 2% più industria 24%).
Come illustrato in precedenza, una grossa fetta del reddito
dell’economia USA è soft e non hard.
Paragonando gli USA a un’azienda, possiamo dire
che buona parte del valore aggiunto realizzato,
osservando la catena del valore, non si trova nella funzione
di produzione, ma in altre come la logistica, il marketing,
la gestione e l’organizzazione, la R&S.
I servizi sono costituiti in buona parte da beni immateriali,
beni che non vengono immagazzinati e che spesso si consumano
nel momento stesso in cui vengono creati.
Se esistesse un magazzino virtuale dei servizi, vedremmo
che negli ultimi anni, le statistiche delle scorte USA
segnerebbero numeri negativi progressivi.
La diminuzione del magazzino-soft sta più che compensando
l’aumento delle giacenze nel magazzino-hard,
i dati sull’occupazione parlano chiaro.

L’economia USA sta rallentando, non ha tirato il freno a mano.
L’aumento di occupazione nei servizi e in altri settori meno ciclici
dimostra che una previsione di crescita del Pil
superiore al 2% quest’anno è razionale,
tanto più se alimentata da fattori endogeni quali
l’aumento dei salari reali (l'aumento del potere d'acquisto,
degli stipendi in rapporto al caro vita).


Infine, sullo sfondo alle vicende finanziarie ed
economiche, occorre fare cenno all'inflazione e ai tassi d'interesse.


Le paghe dei lavoratori americani
sono aumentate dello 0,4%.
Il costo del lavoro è aumentato del + 6,6%
dal +1,7% dei tre mesi precedenti.
L'indice dei prezzi alla produzione (IPP) è aumentato
dell'1,3%, depurato da componenti volatili quali
energia e alimentari (IPP core) dello 0,4%.
L'indice dei prezzi al consumo (IPC) ha segnato un +0,4%,
e il core +0,2%.
Nel suo complesso l'inflazione, con l'esclusione
di componenti più volatili è stata, nei dodici mesi finiti in gennaio,
del 2,3% contro il 2%, giudicato compatibile con la crescita.

Il costo della vita è aumentato negli Usa,
d'altro canto la forte crescita degli stipendi
(negli ultimi 12 mesi sono cresciuti del 4.1%)
sostiene la spesa per i consumi, un ingrediente chiave
per la salute economica statunitense.

Senza dubbio, la forte spinta inflazionistica dei
salari e del costo del lavoro, connessa alla
lieve diminuzione della disoccupazione (0,10%) e
al dato sull’aumento della produttività non agricola
del +1,6%, rispetto al precedente +3,0%  (dato del 6 marzo),
sono state corde che hanno legato decisamente
le mani a Bernanke per un taglio dei tassi.
A queste corde se ne sono aggiunte altre il 15 e 16 marzo
che hanno mostrato un aumento dell'IPP e dell'IPC,
superiore a quanto desiderato.

Ma Bernanke insieme a queste corde, che gli vincolano
le mani:spinte inflazionistiche di salari e prezzi,
ha  vicino a sé delle lamette per liberarsi:
la crescita della produttività e del Pil.

L’aumento della produttività e del Pil può assorbire
l’inflazione e può rendere libero Bernanke
di giocare il jolly del taglio dei tassi,
quando veramente occorrerà.
Infatti una mossa a breve in tale direzione,
proiettando le attuali statistiche, non
appare opportuna, anzi sarebbe addirittura
controproducente, si tramuterebbe in un aumento
secco di prezzi e salari, mera inflazione.

 

Questo breve check-up dell'economia a stelle e strisce forse
avrà chiarito alcuni dubbi e incertezze, o ha fatto 
sorgere altri interrogativi nel lettore.
Resta comunque il fatto che i titoli presenti nei portafogli
premium sono selezionati anche per reggere le
turbolenze economiche e finanziarie, sono degli "evergreen".
I cavalli vincenti possono soffrire un pò nel breve periodo,
ma poi vengono sempre fuori e anche alla grande!
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presenti nei Premium, che battono gli indici e
ti fanno tagliare sempre il traguardo della felicità finanziaria:
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