di Francesco Carlà

Guadagni 'verdi': una scelta difficile

del 30/06/2011 di Francesco Carlà
L'Italia è uno dei mercati chiave
per i produttori di sistemi
energetici alternativi.

La ragione è semplice: noi non abbiamo,
e probabilmente non avremo mai, le
centrali nucleari, al contrario degli
altri Paesi del G7.

Infatti quando il governo Berlusconi
ha annunciato la fine degli incentivi
alle energie «verdi», i produttori
di mezzo mondo sono crollati in Borsa.

Ma conviene investire nelle energie
rinnovabili?

Vi farò questo esempio: negli ultimi
50 anni il numero dei passeggeri delle
compagnie aeree è cresciuto in modo
esponenziale. Eppure gli azionisti di
Pan Am e Alitalia hanno perso anche
la camicia.

Morale: per investire nei produttori
energetici bisogna saper scegliere
quelli che cresceranno ed evitare
quelli che falliranno.

Ci sono due modi per investire nelle
rinnovabili: scegliere tra le moltissime
company quotate nelle Borse, oppure
usare Etf settoriali che faranno peggio
delle migliori azioni, ma meglio
nella media.

Il primo caso prevede una certa competenza
sulle aziende.

Fotovoltaico, eolico, biomasse: ci sono
molti produttori ed energie diverse.

A volte è più interessante investire
sulle azioni di un produttore di
componenti, per esempio le batterie,
rispetto a un' azienda che assembla
il prodotto finito, magari i pannelli
solari.

Gli Etf possono essere generici (indici
settoriali dei maggiori produttori scelti
in base alla capitalizzazione) oppure
specifici (solo industrie fotovoltaiche,
eoliche eccetera eccetera).

La maggior parte delle aziende energetiche
verdi sono quotate a Wall Street: americane,
cinesi, coreane, europee. Alcune le trovate
anche nella Borsa italiana, compreso il
recente spin off del nostro maggior
produttore elettrico.

Attenzione alla volatilità: si tratta di
azioni molto sensibili alle notizie dei
loro settori e ai bilanci trimestrali.

In positivo e ovviamente anche in negativo.

Per gli Etf ricordate che quelli americani,
molto numerosi e specifici, sono però non
armonizzati. Vuol dire un' aliquota fiscale
sui profitti molto più alta rispetto agli
armonizzati che pagano il 12,5%.


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